
08 Mar Amaranto
Storie botaniche: l’amaranto
L’amaranto (Amaranthus spp.) è una pianta cespugliosa che può raggiungere il metro di altezza e ha origini in America centrale. Il suo nome deriva dal greco amàrantos, che significa “che non appassisce”, in riferimento alla lunga durata delle sue infiorescenze, che persistono da luglio fino a ottobre. Alcune varietà presentano semi dello stesso colore intenso dei fiori, prolungando l’effetto decorativo anche oltre la fioritura.
Caratterizzata dalla tipica infiorescenza pendula nota come “coda di volpe”, l’amaranto è molto apprezzato dai fiorai per la creazione di bouquet scenografici. Nel periodo vittoriano, in Inghilterra, venne associato all’amore non corrisposto e ribattezzato love-lies-bleeding (letteralmente “l’amore giace sanguinante”). In Francia, invece, era chiamato “flagello di monaca” per via del colore rosso intenso che ricordava il sangue.
Oltre al valore ornamentale, l’amaranto è molto noto per il suo impiego alimentare. La sua coltivazione risale a oltre 5000 anni fa in Messico e nelle Ande, dove era un elemento fondamentale nella dieta di Aztechi e Inca grazie alla sua resistenza alla siccità e alle malattie. Ogni pianta può produrre fino a 50.000 semi ricchi di proteine e fibre, privi di glutine e quindi adatti anche ai celiaci.
Rispetto ai cereali più comuni, l’amaranto vanta un alto contenuto di lisina, ferro, calcio, fosforo e magnesio, oltre a vitamine del gruppo B e C e numerosi amminoacidi essenziali. Con un basso indice glicemico e l’assenza di grassi saturi, rappresenta una valida alternativa ai cereali tradizionali. Grazie a queste caratteristiche, oggi l’amaranto è considerato un vero e proprio “superfood”, sempre più apprezzato in ambito nutrizionale.
Prima della colonizzazione europea, le popolazioni azteche utilizzavano la farina di amaranto mescolata con sciroppo d’agave per creare lo tzoalli, un alimento energetico perfetto per affrontare lunghi viaggi o battaglie. Durante i riti religiosi, questo impasto veniva modellato in figure di animali o divinità, poiché si riteneva che mangiarle conferisse forza e protezione.
Ancora oggi, in Messico e Perù, questa tradizione sopravvive: durante il Día de los Muertos, è comune realizzare teschi e statuine con la farina di amaranto, mantenendo vivo un legame con il passato e con le antiche credenze delle civiltà precolombiane.